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Si può rimanere stupefatti dinnanzi alla bellezza di un fiore? Sì, se ci si trova al cospetto del Giglio martagone (Lilium martagon), pianta della famiglia delle Liliaceae che cresce spontanea nelle brughiere di altitudine, nelle faggete e nelle radure dei boschi dai 300 ai 1800 metri dell’arco alpino e appenninico italiano.
Diffuso in tutta la penisola con la sola eccezione di Puglia, Basilicata e Calabria, il Giglio martagone appartiene alle specie protette e pertanto non può essere raccolto. Oltre che da escursionisti privi di senso civico, la sua esistenza è minacciata dai cinghiali, che amano nutrirsi dei suoi bulbi, e dagli insetti che distruggono la parte esterna al terreno.
Considerato non a torto uno dei più vistosi fiori selvatici di montagna, il Giglio martagone cresce frequentemente lungo i sentieri. Fiorisce con tempistiche diverse a seconda dell’altitudine: i bulbi radicati a bassa quota sono visibili già nel mese di giugno, quelli più in alto, posti in terreni non troppo soleggiati, fanno la loro comparsa a luglio, talvolta anche dopo.
Giglio martagone (Maria Rita Brun).
Si tratta di una pianta erbacea con fusto eretto che si sviluppa in altezza dai 30 ai 120 centimetri, con foglie oblunghe e spatolate. È caratterizzato da fiori di colore rosso intenso, rosa pallido o porpora, raggruppati in grappoli in genere da 3 a 5 esemplari, talvolta fino a 20.
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La particolarità di questa pianta sta proprio nei suoi delicati fiori che presentano i tepali incurvati all’indietro: in questo modo le corolle panciute, rosa porpora chiaro, punteggiate di rosso scuro, mettono in mostra gli stami penduli particolarmente vistosi.
Osservandolo con attenzione, così gonfio e colorato, il Giglio martagone può ricordare i copricapo dei sultani turchi. Un paragone non azzardato, giacché oltre ad essere noto come “riccio di dama” è anche soprannominato “turbante o cappello di turco” ed il termine Martagone in turco significa proprio turbante.
Giglio martagone (Maria Rita Brun).
Sono invece prive di fondamento le ipotesi che collegano la sua denominazione all’essere una pianta sacra a Marte, il dio della guerra, portata sui campi di battaglia dagli antichi soldati alla stregua di un amuleto portafortuna.
Si può piantare in giardino, ma teme i ristagni
Il Giglio martagone ha proprietà medicamentose, essendo pianta espettorante, emmenagoga (ovvero che favorisce il ciclo mestruale), diuretica e cardiotonica. Il suo bulbo e i petali sono impiegati per uso esterno per lenire piaghe, eczemi, macchie della pelle e scottature.
Se il fiore in montagna non può essere raccolto, per garantirsi un’intensa macchia di colore in giardino si può ricorrere alla sua piantumazione acquistando i bulbi, che possono essere piantati a marzo.
Bisogna però aver cura di collocarlo in suoli leggeri e ricchi di sostanza organica, perché il Giglio martagone, come tutti gli altri appartenenti alla specie, non ama i terreni con ristagni e i suoli argillosi o sabbiosi.
Giglio martagone (Pixabay).
L’esposizione deve essere calda ma protetta dal vento, l’ideale sarebbe una penombra oppure l’esposizione al sole solo mattutina. Deve essere bagnato senza eccesso, per evitare la marcescenza del bulbo. Tuttavia, il fascino particolare di questo fiore carnoso deriva anche dallo stupore di trovarselo dinnanzi improvvisamente.
Se osservarlo in giardino è esperienza piacevole, sicuramente più appagante è la sorpresa di vederlo svettare in una radura boschiva, quale premio di una passeggiata estiva in montagna.