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Già arcivescovo di Ravenna, San Giovanni Vincenzo decise di ritirarsi a vita ascetica sulle pendici del monte Caprasio. Gli abitanti di Celle (Caprie) sostengono che lì vi trovò la morte il 12 gennaio dell'anno 1000, mentre i sant'ambrogesi datano la sua scomparsa al 21 novembre dello stesso anno. La sua memoria liturgica è celebrata invece il 27 novembre.
La festa patronale in onore di San Giovanni Vincenzo si celebra ogni anno a Sant'Ambrogio la domenica più prossima al 21 novembre, e coinvolge intere famiglie nella preparazione dei piatti tipici, tra cui spiccano rape, cipolle ripiene e paste di meliga.
Nato a Besate, in provincia di Milano, si presume nel 955, Giovanni Vincenzo fu Arcivescovo di Ravenna per 15 anni con il nome di Giovanni X, dal 983 al 998, un periodo in cui la fine del mondo era una paura molto diffusa tra la popolazione.
Nella primavera del 998 Giovanni Vincenzo decise di ritirarsi come eremita in una grotta naturale sul monte Caprasio a Celle, cedendo l'incarico al suo successore, Gerberto di Aurillac. La storia narra che ciò avvenne perchè, mentre stava amministrando la Cresima nella basilica ravennate di San Vitale, il Vescovo non si accorse di una donna che, con un bambino molto piccolo, cercava di avvicinarsi per far impartire il Sacramento al figlio gravemente malato.
Quando finalmente la donna arrivò, Vescovo e clero si erano già allontanati. Il bimbo morì e la madre iniziò a gridare dal dolore. Giovanni udì il suo strazio e tornò indietro, avvicinandosi per capirne di più. Una volta informato dell'accaduto, attribuì la mancata Cresima alla sua negligenza: si allontanò quindi per pregare il Signore, portando con sè il corpicino del bimbo, che improvvisamente risuscitò.
Subito si gridò al miracolo e iniziò una lunga processione di fedeli, che venivano a rendere omaggio al Vescovo magnificandone la potenza. Giovanni, tuttavia, considerava questa eccessiva devozione un impedimento alla sua vocazione, e scelse di lasciare la carica ricoperta.
Qui si fa strada un'altra leggenda: l'eremita decise di erigere sul Caprasio una chiesetta in onore di San Michele ma, raccolto il materiale necessario, provato dalla fatica si addormentò.
Al suo risveglio, il mattino dopo, tutto era scomparso. Il fatto si ripetè ancora per due notti: la terza, Giovanni vide in sogno un volo di angeli e colombe che trasportavano il materiale sul monte opposto, il Pirchiriano, invitandolo a seguirli: così la tradizione cristiana rappresenta l'inizio della costruzione della Sacra di San Michele.
In merito a questo esiste anche un'altra leggenda, legata questa volta ad Hugon di Montboissier, nobile francese dell'Alvernia intenzionato a fondare un monastero sulla cima del Pirchiriano. Provato dalla lunga salita e senza aver trovato acqua sul tragitto, il gruppo arrivò in vetta assetato. Giovanni aveva un'ampolla di vino necessaria a celebrare la Messa, il cui contenuto non sarebbe bastato a placare l'arsura di uno solo dei cavalieri, ma ancora una volta si mise a pregare e dall'ampolla iniziò a sgorgare acqua freschissima, mentre tutti gridavano nuovamente al miracolo.
La società Abbadia
Mentre la festa patronale ha luogo a novembre, la traslazione delle reliquie, raffigurata sulla vetrata principale della Chiesa sant'ambrogese, si celebra ogni anno la domenica più prossima al 12 gennaio.
In tale data, nel 1150, le spoglie di San Giovanni Vincenzo, caricate a dorso di mulo, giunsero da Celle dirette alla Sacra per essere custodite nell'abbazia come da volontà dei monaci sacrensi.
Ma il mulo che le trasportava, giunto a Sant'Ambrogio, non volle proseguire e nemmeno le percosse lo convinsero a concludere il cammino. Questa risolutezza venne interpretata come una volontà divina e da allora le spoglie sono rimaste nella chiesa parrocchiale ai piedi della montagna, in un'urna conservata sotto l'altare principale.
Vengono portate in processione al termine della messa domenicale del giorno di festa. Ad accompagnarle sono le rappresentanze dell'amministrazione comunale, dell'associazionismo locale e della società Abbadia muniti di alabarda.
Le alabarde spiegano l'antica origine difensiva dell'associazione, che sorse per proteggere le spoglie del Santo dalle predazioni degli invasori e dalle rivendicazioni degli abitanti di Celle, che ne reclamavano il possesso.
Franco Oria, l'Abbà del 2018.
L'origine della confraternita si fa risalire al 1150, ma nei documenti se ne trova traccia soltanto a partire dal XVIII secolo. In seno all'Abbadia, società a composizione esclusivamente maschile, ogni anno viene eletto l'Abbà in carica. La figura ricopre questo ruolo a seconda di un particolare criterio di anzianità, dettato non dall'anagrafe ma dalla data di iscrizione alla società.
L'Abbà, durante l'investitura mattutina domenicale, che avviene nel cortile della sua abitazione, riceve dal suo predecessore la scirfa, una fascia diagonale di colore azzurro con scritta e fregi dorati, e nel pomeriggio si produce nel consueto discorso a cavallo, sul sagrato della chiesa parrocchiale.
Al tradizionale discorso faranno seguito il ballo in piazza ed un corollario di eventi che vedono coinvolti, oltre all'Amministrazione comunale, gli esercenti del paese e tutto l'associazionismo locale, che si conclude con il "Viva l'Abbà e viva l'Abbadia!" pronunciato con solennità a suon di musica.
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