Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Quasi 2 mila metri di impianto irriguo e circa 550 ulivi di 60 varietà diverse, messi a dimora ad un'altitudine compresa tra i 680 e i 710 metri, su un terreno che si estende su 15 mila mq. Sono questi i numeri dell'Oliveto sperimentale alpino Roceja Attiva di Gandoglio, borgata di Borgone. Un impegno non da poco per Sergio Enrietta, dinamico 68enne originario di Venaus, che da tempo ha deciso di avviare questa coltivazione.
"Tutto risale a quando avevo 3 o 4 anni. Mio papà mi aveva mostrato un ulivo in mezzo ai rovi: quella pianta mi incuriosì, ed il ricordo mi si è impresso nella mente. Poi, una volta cresciuto, avevo deciso di tentare un'impresa un po' folle, andare a coltivare ulivi in un'isola delle Eolie, dove non esiste nessuna sorgente. Ma è rimasta un'idea, naufragata strada facendo".
Durante il servizio militare svolto nel bellunese, Enrietta si rese conto che partecipando a dei concorsi pubblici si ottenevano delle licenze: fu così che si candidò a molti di essi, vincendone una buona parte. "A quei tempi lavoravo all'Assa di Susa, ma era chiaro che le cose non andavano troppo bene. Mi licenziai prima del fallimento, entrando nelle Ferrovie dapprima come elettricista e poi come macchinista".
Sergio Enrietta.
La curiosità, la voglia di sperimentare, sono sempre stati l'elemento cardine della sua esistenza. "Sono fatto così, mi documento, studio, sono un autodidatta cui piace portare a termine una cosa, fatta bene, per poi passare ad un'altra". E così, dopo essersi occupato di ridurre i costi per alcune aziende ("mi chiamavano il tagliatore di teste, che brutta definizione"), aver frequentato un corso per imparare l'inglese "senza il quale non si va da nessuna parte", aver vissuto in Francia, analizzato studi economici ed essersi documentato sulla presenza degli ulivi in valle di Susa, Sergio è approdato in borgata Gandoglio, portandosi sempre dietro la sua voglia di coltivare ulivi.
Cambiando scenario al suo progetto, e passando dal mare alla montagna, nel 1999 ha comprato una serie di terreni e dopo qualche anno vi ha messo a dimora le prime piante, oltre a collocarvi alcune arnie, per non lasciare nel cassetto l'esperienza conseguita al corso di apicoltura frequentato a Bologna nel 1976. "Ho visto che gli ulivi crescevano bene e producevano subito, così mi sono lasciato prendere la mano. Nel 2012 ho comprato anche un frantoio, cosìcchè ora posso gustare un olio interamente autoprodotto.
Il frantoio e le olive (in questo caso varietà Sant'Agostino).
Non ho fatto nessuna scoperta, bensì una cosa ragionata. Gli ulivi qui ci sono sempre stati, erano solo dimenticati. Quelli rimasti hanno superato la piccola glaciazione del 1700: una trentina dei miei derivano da vecchie ceppaie, son proprio quelli autoctoni, solo che le persone non se lo ricordano. Ma se parlate con gli anziani cdi Mompantero ed Urbiano, loro lo sanno: l'ulivo in valle di Susa esiste da sempre. E lo sapevano anche i vecchi Vignolant della Roceja che scendevano qui da Frassinere e Mocchie per coltivare la vite".
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Ora, a scendere lungo i terrazzamenti sono cinghiali, cervi e caprioli, che attentano alla crescita delle piante. "Sono i cervi a fare i danni più importanti: sono maestosi, arrivano in alto, e dove passano loro rimane ben poco. Ma devo fare attenzione anche alla "mosca bactrocera", o mosca olearia, che depone le uova nelle olive. Dopo la schiusa la larva si nutre di esse, e se sono tante buona parte del raccolto viene compromessa.
Il "metodo Enrietta" contro la mosca olearia (nel cerchio gli occhi verdi di questo insetto spuntano da un'oliva).
Io qui non uso alcun prodotto chimico: ho mele, uva, zucche, zucchine, finocchi, insalata, pomodori che coltivo senza trattamenti. Per gli ulivi avevo trovato un prodotto naturale, che avrei dovuto spargere sulle chiome, ma si sarebbe depositato anche sulle olive e non volevo. Così ho ideato il "metodo Enrietta", che anche altri coltivatori hanno utilizzato. Recupero i vasi in plastica che contenevano le piantine degli ulivi e li spruzzo con quel prodotto, poi li appendo a testa in giù alla pianta, così anche se piove la sostanza non viene lavata via. Un po' serve, per tenere lontane le mosche, ma solo quando non ce ne sono tante, come quest'anno. Altrimenti, se sono diffuse, non è sufficiente".
Nonostante ungulati e mosche, comunque, sulla Roceja, gli ulivi hanno trovato l'habitat ideale. E ogni varietà convive senza problemi con le altre: Sant'Agostino, Frantoio, Nociara, Coratina, Santa Caterina, Aglandaou, Arbosana, sono solo alcune delle tante che appartengono alla grande famiglia Enrietta. "Non so a cosa sia dovuto questo sviluppo promettente. Forse il terreno argilloso, l'irrigazione di questo terreno xerofilo o la buona esposizione. Pensate che, nel giorno più corto, qui le ore di sole sono comunque 6,54".
Alcune varietà di olive coltivate alla Roceja: da sinistra Frantoio, Coratina e Pendolino.
Difficile dire se alle Eolie Enrietta avrebbe avuto lo stesso successo, perchè il sogno è rimasto tale. Ma se la sua aspettativa era di mettere a dimora gli ulivi su un'isola circondata dal mare, in buona parte è stata soddisfatta. La dimora di Enrietta in Borgata Gandoglio è davvero un'isola felice, immersa nel silenzio, circondata da un mare di tranquillità (e di nubi nel giorno in cui gli abbiamo fatto visita), dove gli ulivi crescono armoniosi.
Incuriosendo sia l'Università di Cosenza, che ha avviato uno studio su questa inusuale olivocoltura alpina, che la Fondazione Fojanini di Sondrio, con cui Enrietta collabora per la diffusione dell'olivicoltura in Valtellina.
Enrietta ha creato una pagina Facebook chiamata Oliveto Sperimentale Alpino "Roceja Attiva" che, senza alcuna pubblicità, ha già superato i 700 iscritti, non solo valsusini: dimostrazione evidente che l'ulivo è un tema che interessa da nord a sud. E chi pensa che l'olio buono sia solo quello che arriva dalla Toscana, dalla Puglia o dal meridione, non ha mai assaggiato quello che Enrietta produce in montagna, esclusivamente per uso personale o, al massimo, per regalarlo agli amici.