Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Conosciamo tutti la piacevole sensazione di libertà offerta dall'esperienza di scendere le pendici montane con gli sci ai piedi. Pochi, però, possono dire di averla provata lasciandosi andare su una pista di plastica come quella allestita sulle pendici del Musinè.
Fino ai primi anni '80, infatti, a Caselette una pista in materiale plastico offriva la possibilità di far scivolare gli sci lungo una discesa di qualche centinaio di metri. Era aperta da maggio a novembre; chi l'ha frequentata ricorda le sciate sotto il sole a 30 gradi come un'esperienza piuttosto divertente.
C'era però un inconveniente: se non si indossavano pantaloni lunghi e camicia pesante le cadute sulle setole di plastica potevano essere piuttosto dolorose. "Se non avevi una tecnica almeno discreta erano problemi...", ricorda chi a suo tempo ha praticato questo tipo di attività sportiva.
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La storia di questo insediamento risale però a molti anni prima. "Nell'area conosciuta come "I pian" – racconta Giorgio Motrassino, attuale vicesindaco di Caselette – che si trova verso Grange di Brione e Valdellatorre, nei pressi delle cave di magnesite, dal 1918 al 1972 è stato in funzione un poligono di tiro. Non pochi erano i disagi causati ai residenti: lacrimogeni, spari, esercitazioni notturne ed alcuni incidenti erano fonte di preoccupazione per la popolazione. Inoltre frequenti incendi (anche cinque o sei all’anno) distruggevano sistematicamente il patrimonio boschivo del Musiné e rischiavano di danneggiare le vicine abitazioni.
La partenza dello skilift
Il poligono era allora forse il più importante della valle di Susa, e le esercitazioni militari compromettevano l’uso agricolo dei terreni e l’utilizzo dell’area per la pastorizia, allora diffusa, senza considerare che si verificavano furti nei vigneti ed altri disagi od impedimenti".
"Ricordo bene quel periodo di discussioni – aggiunge Luciano Frigieri, sindaco di Caselette dal 1978 al 2004 ma già consigliere comunale in precedenza – la gente era giustamente imbestialita per la presenza del poligono, che creava problemi alla cittadinanza ed al pascolo. Ci furono un morto ed un invalido, e le cronache dell'epoca riportano le innumerevoli polemiche in merito. Il condizionamento della quotidianità era elevato, andammo più volte a parlare con i vertici del comando torinese nel tentativo di risolvere la questione".
La convivenza era difficile e bisognava trovare il modo di rescindere il contratto d'affitto stipulato con l'amministrazione comunale. "Contratto che – interviene Angelo Motrassino, padre di Giorgio, oggi 91enne ed ex sindaco all'epoca dei fatti - stabiliva un corrispettivo a favore del Comune di Caselette abbastanza elevato per le finanze dell’epoca, ma non prevedeva la possibilità di recesso, e veniva rinnovato con una semplice comunicazione di volontà da parte dell’Esercito".
L'edificio della biglietteria
L’occasione di "sfrattare" i militari la offrì un ex colonnello che, rilevando un difetto giuridico nella richiesta di rinnovo contrattuale da parte del Ministero, propose al Comune di curare gratuitamente gli aspetti legali per giungere al rilascio dell’area. In cambio chiese di effettuare un investimento su una parte di essa, altrettanto remunerativo per il Comune ma più sopportabile e sicuro per la popolazione.
L'amministrazione, consapevole della difficoltà di allontanamento dei militari a seguito di una causa intentata al Ministero, il cui esito non era scontato, accettò la proposta con espressione unanime del Consiglio Comunale. L'area fu quindi affittata alla società Ciep, che l'avrebbe resa nuovamente disponibile al Comune dopo 29 anni.
Al posto del poligono sorse una pista da sci avveniristica in plastica, lunga qualche centinaio di metri e dotata di skilift e di impianto di illuminazione notturna.
Planimetria del Centro Sportivo Musinè
Denominato Centro Sportivo Musiné, l'insediamento prevedeva inoltre spogliatoi, docce, campi da bocce, un'area per il pattinaggio, cui si aggiunsero una pista da fondo (sempre in plastica) della larghezza di circa mezzo metro ma con un anello piuttosto lungo, un percorso di footing, campi da tennis in materiale sintetico e un ristorante, che prese poi il nome di “Primavalle".
Gli impianti erano era in funzione tutto l'anno: di qui passarono, tra i tanti, anche il mezzofondista italiano Franco Arese e il presidente Primo Nebiolo. Venne addirittura ad allenarsi una delegazione polacca di atletica pesante in vista delle olimpiadi invernali di Montreal.
"L'idea avveniristica dell'impianto portò molta gente a Caselette – racconta Frigieri -. Arrivavano persone da ogni dove, molte da Torino per i pranzi di nozze al rinomato ristorante. C'erano il laghetto, addirittura una piccola cappella. Insomma, era tutto molto all'avanguardia".
La chiesetta e il ristorante, posti uno di fronte all'altro
A tanto splendore non corrispose tuttavia lo sviluppo che i promotori si apettavano. "L'inaugurazione dell'impianto risale al 1976 - ricorda Giorgio Motrassino - ma, pur non avendo una data certa, direi che l'esercizio non sia andato oltre il 1980" .
Nessuno sa dire con certezza perché, ma il declino fu abbastanza rapido. Alla Ciep, probabilmente spaventata dalla lentezza del ritorno economico dopo il forte indebitamento, era nel frattempo subentrata un'altra società. "La nuova cordata – ripercorre Giorgio Motrassino - tentò di riconvertire l'area con una speculazione edilizia cui il Comune non concesse spazio. Vi fu una lunga causa giudiziaria, che si concluse soltanto nel 1995, quando il Comune di Caselette rientrò in possesso dell'impianto, che nel frattempo era fortemente degradato. L'amministrazione provò a chiedere un contributo europeo per il recupero, ma non ottenne nulla di fatto".
Il laghetto
La pista di sci, abbandonata per lunghi anni, fu nel frattempo in parte "riciclata": si narra infatti che buona parte dei caselettesi ne abbiano un pezzo in casa, usato come tappeto per pulire le scarpe...
"Fui presente di persona all'udienza che concluse la vicenda giudiziaria – ricorda Frigieri – e il giudice, una donna, vedendo che scrollavo la testa dinnanzi alla ricostruzione dei due investitori torinesi, mi interrogò. Feci notare le innumerevoli inesattezze che venivano esposte. Quei due dicevano che noi non gli avevamo concesso l'ampliamento che intendevano attuare, ma riuscii a dimostrare, documenti alla mano, che erano stati ampiamente informati dello strumento urbanistico a disposizione e che stavano mentendo".
Così, da imputata, l'amministrazione di Caselette si ritrovò ad essere vincente. "L'impresa, che ci chiedeva un danno economico, fu costretta a rifondere noi. A quel punto, prendemmo accordi con un professionista che lavorò gratuitamente al progetto di recupero. Eravamo rimasti intesi che lo avremmo pagato se la Regione ci avesse concesso il contributo europeo finalizzato al recupero dell'area. Ma l'affare non andò in porto: la Regione, a mio avviso sbagliando, non dette l'ok e fummo costretti a rinunciare. Tante volte, salendo nuovamente lì, ho guardato l'area con grande dispiacere, pensando a come invece l'avremmo potuta recuperare".
La strada di collegamento tra la biglietteria e il piazzale del ristorante
Abbandonata l'ipotesi sportiva, l'amministrazione caselettese ha poi lavorato per il recupero ambientale di quella zona, inserita nel Sic, sito di interesse collettivo, valorizzando l'area montana che racchiude al suo interno specie faunistiche interessanti, quali le farfalle notturne e tre specie di tritone differenti.
"Con la sensibilità dei giorni nostri – conclude Angelo Motrassino - ritengo che la bonifica dell’area, con la restituzione alla natura di ciò che fu della natura, sia la scelta migliore per la conclusione di una storia durata quasi 100 anni".
Oltre un secolo dopo l'insediamento del poligono, l'area punta oggi ad una nuova esplosione, questa volta priva di spari: l'intento, portato avanti con il supporto di un'associazione naturalistica, è infatti quello di creare un percorso ambientale arricchito dalla presenza della vicina villa romana.
Ringraziamo Paolo Listello per le immagini e la documentazione fornita.