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Frate Alberto di Castellario nel gennaio-febbraio 1335 è deputato a procedere contro i Valdesi di Giaveno e i predicatori itineranti, “in applicazione delle costituzioni papali ed Imperiali”.1
È affiancato dal Frate Predicatore Giovanni di Revello, supportato dal Castellano di Giaveno, dal Notaio Guglielmo Grasso e dal Pievano del paese. È sorretto dalla vicinanza continua del “dominus abbas Sancti Michaelli” Amedeo degli Orsini: così è ricordato nel codice l’Abate Chiusino.
L'Orsini svolge una parte non secondaria nell'azione repressiva contro i Predicatori Valdesi e i loro seguaci: sufficienti indizi fanno pensare a iniziative antecedenti l'arrivo del Domenicano. Non è altrettanto certo che ne chieda lui l’intervento, ma è sicuro che assiste a tutti gli interrogatori e fornisce il suo consiglio insieme ad altri religiosi e giurisperiti sulle sentenze.
A lui spetterà poi il controllo delle pene impartite. L'Abbazia di San Michele, tra l’altro è imposta come meta obbligatoria di pellegrinaggi penitenziali: i condannati vi si devono recare a piedi scalzi, anche 2-3 volte l’anno per 2-3 anni.
La Sacra di San Michele in una vecchia cartolina.
Il codice riporta la registrazione degli interrogatori di 40 uomini e 30 donne: non è però completo, e quindi è assai probabile che il numero delle persone udite sia superiore. L’Inquisitore lamenta che vi sono “multi heretici de secta Valdensium” tra Giaveno, Coazze, Valgioie e nelle piccole località montane dei dintorni: Villanova, Buffa, Paschero, Sala, Selvaggio, Molar, Combravino e Forno.
Nel castello di Giaveno venerdì 20 gennaio gli sfilano davanti i curati di Coazze e Valgioie, il 21 un sacerdote e un Canonico del Moncenisio, due donne e un uomo. Il 22 testimonia lo stesso Pievano del paese. Ognuno segnala le proprie conoscenze e i propri sospetti.
Domenica 29, alla presenza dell’Abate, di Frate Giovanni, del Priore di Aime e del Pievano, raduna il popolo in San Lorenzo. Celebra una solenne Liturgia in cui annuncia il “tempus gratiae” della durata di 3 giorni, ossia fino al martedì: chi ha notizie sui predicatori valdesi, su chi li accoglie o fornisce loro aiuto e ascolto, ne riferisca a lui e non subirà le pene previste dalla legge e la scomunica.
Le delazioni sono meno di dieci. Il Castellario ottiene preziose informazioni da Ermengona di Pinasca: scomunicata e contumace è stata da poco catturata e rinchiusa nel castello giavenese. Per ottenere la libertà vigilata e condizionata denuncia alcuni uomini e donne della Valsangone.
Gli interrogatori
Da giovedì 2 febbraio interroga solo individui su cui ricadono indizi di colpevolezza e non si sono presentati spontaneamente nel “tempus”: per il diritto canonico sono colpevoli almeno di fautoria, favoreggiamento. Li cita per mezzo dei manderii, una sorta di nostri messi comunali.
I risultati sono molto scarsi: ne rilascia la maggior parte dopo aver ottenuto un formale atto di fede verso la Chiesa Romana oltre alla garanzia, confermata da un fideiussore, di ripresentarsi entro 3 giorni da un’eventuale riconvocazione.
Dopo 11 giornate, perde la pazienza. Il 4 febbraio ne fa le spese il reticente Giovanni Gauterio avente pubblica fama di “valdesia”: sul suo conto corre addirittura voce che sia un Magister, un Predicatore. L'uomo, originario di Villaretto (Roure) in Val Chisone, si è trasferito in paese come domestico presso Guglielmo Dominici.
In accordo con l’Orsini ordina al Castellano di sottoporlo a tortura come previsto dalla Costituzione di Clemente IV del 13 gennaio 1266: il ricorso ad essa da parte di Frate Alberto sembra essere più frequente rispetto ai suoi contemporanei.
Eretici e "streghe" sottoposti a supplizi.
Eseguito il supplizio, trascorso un adeguato intervallo di tempo, è nuovamente interrogato: diviene un prezioso informatore.
Denuncia tre Predicatori itineranti tra cui Martino Pastre di Bobbio Pellice. Dice di aver fatto proseliti a Giaveno in modo discreto e di essersi incontrato con alcuni Magister, fra i quali Peireto di Coazze, forse il primo reclutato locale in questo ruolo, e il Pastre, che in quel periodo si muove fra il paese, Coazze e Valgioie.
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Papa Giovanni XXII, in una lettera del luglio 1332 all'inquisitore di Marsiglia, descrisse il Paistre come un individuo dall’età avanzata, dal fisico minuto e dalla grande abilità mimetica, che predicava e confessava senza essere “granché letterato” ma senz’altro una figura eminente per i Valdesi: alle sue adunanze accorrevano anche 500 persone.
Le sue risposte sui contenuti della predicazione sono le solite: giurare è peccato mortale, i suffragi per i defunti servono soltanto a chi, prima di morire, li fa per sé stesso, esistono solo paradiso e inferno, il purgatorio è la vita stessa, i valdesi si autodefiniscano “gentes de reconoscencia” e il loro credo è il migliore.
Rende piena confessione sui partecipanti alle riunioni, sui luoghi e sulla rete che ospita i Predicatori e fornisce un quadro completo di informazioni anche sulla Val Chisone. Alla fine riconosce di avere peccato contro la Santa Romana Chiesa, le giura futura fedeltà e accetta la pena legittima che gli sarà imposta, abiura ogni eresia e promette di denunciare gli eretici di cui verrà a conoscenza.
Esempio di manicula.
Il fratello Pietro si fa fideiussore, sotto pena di 25 lire viennesi, che si presenterà entro 3 giorni qualora sia nuovamente citato.
È rilasciato: secondo la notazione finale del secondo interrogatorio l'uomo ha confessato “spinto dal desiderio di verità e non dalla durezza dei tormenti”.
Le informazioni sono sufficienti per proseguire con altri inquisiti. Sono riottosi, ed allora si ricorre ancora alla tortura. Il Grasso registra nei verbali la decisione di “extorquere veritatem” agli imputati, scrive sul margine sinistro “tormentum”, tortura e lo evidenzia con una manicula, il disegno di una manina con indice teso.
Il quadro ora è chiaro: i Valdesi, dalla Val Chisone hanno cominciato a frequentare la valle da non più di 5-6 anni: il passaggio attraverso il Colle della Roussa è agevole e non è escluso che la strada sia stata loro spianata proprio dal Gauterio.
Gli eretici giavenesi sono in contatto anche con quelli della confinante Valsusa: al Follatone, località del comune di Vaie, le riunioni di culto avvengono con partecipanti provenienti dalle due valli. A quelli di Valgioie accorrono uomini e donne di Mocchie e uomini di San Giorio incontrano i Magister nella conca del Sangone.
I predicatori, una decina in tutto, sono estranei alle comunità locali, eppure, in modo rapido hanno ottenuto fiducia, rispetto e stima. Vengono chiamati Seygnores, sono “boni homines”, "bonae gentes” che si presentano come autentici portatori del messaggio evangelico: dicono di seguire la via indicata dalle Sacre Scritture, la legge di Dio, della chiesa e degli Apostoli.
Predicazione e confessione le loro principali attività. Moltiplicano in modo rapido una rete di solidarietà: si costruiscono una base di fedeli che li accolgono in casa e, in piccoli gruppi, li ascoltano comunicare la parola di Dio, la conoscenza biblica e l’invito alla preghiera. Impongono come penitenze digiuni a pane-acqua di varia periodicità e durata e la ripetuta recita del Paternoster: sino a 50 volte al giorno.
La sentenza
Giovedì 23 febbraio, in San Lorenzo, Frate Alberto di Castellario legge pubblicamente la sentenza contro gli accusati.
Il Gauteri è riconosciuto colpevole di avere offeso la fede più gravemente degli altri ma si tiene conto del suo pentimento e del contributo fornito all'inchiesta: la condanna al carcere perpetuo è sostituita da un’ammenda di 15 lire viennesi a favore dell’ufficio dell’Inquisitore, da versare entro 15 giorni al Castellano.
Sono aggiunte sanzioni spirituali per impedirgli di ricadere nel peccato e ad ammonimento alla popolazione: sull'abito, sul petto e sulla schiena, devono essere visibili, fino a quando l’Inquisitore non deciderà diversamente, 2 croci gialle “alte un palmo e larghe tre dita”.
Per un anno, tutte le domeniche e festività comandate, assisterà alla “Messa Grande” in San Lorenzo e si presenterà in castello, qualora sia presente, all’Abate di San Michele, oltre a digiunare per 3 anni, tutti i venerdì, a pane-acqua. Infine, per lo stesso periodo, una volta all'anno, si recherà a piedi all'Abbazia.
La pronuncia della sentenza pone fine alla presenza dell'Inquisitore a Giaveno.
1 Gli atti sono riportati dal manoscritto microfilmato II.64, collocato presso l’Archivio Generale dell’Ordine Domenicano di Roma