Laboratorio Alte Valli - Cuore innovativo
Con i costi dei combustibili e del gas che salgono al cielo, chi possiede un pezzo di bosco è spesso tornato a far legna, avvantaggiato da strumenti che rendono meno faticoso di una volta un lavoro che rimane pericoloso.
Pur avendo a disposizione attrezzi meno elaborati la manutenzione dei boschi era molto curata in passato. Oltre a fornire legna da ardere, il legname veniva usato per le carbonaie e non era raro trasformarlo artigianalmente in assi. Operazione quest’ultima che richiedeva abilità e precisione, oltre alla solita immancabile fatica.
Un articolo di Luna Nuova (n. 11 del 4 giugno 1983), nella rubrica Ciose bis-ciose proponeva la descrizione della trasformazione dei tronchi in assi a Coazze. Il pezzo, che riproponiamo di seguito, non è firmato, ma per la specificità tecnica e la puntuale nomenclatura in patuà di Coazze potrebbe essere di Bruno Tessa o di Ennio Baronetto.
Li réisiéire
Fin verso gli anni 50, quando la montagna era ancora popolata, non era raro, specialmente alla domenica, incontrare nei boschi o nei pressi delle borgate gruppetti di uomini intenti a segare grossi tronchi per ricavarne assi necessarie per i lavori di falegnameria o per costruire balconi e solai.
Trasportare quei tronchi alle segherie era quasi impossibile, data la distanza e la mancanza di strade carrozzabili; bisognava aggiustarsi sul posto. Com’è noto, allora vivevano tutti più o meno nelle stesse condizioni economiche ed era buona usanza aiutarsi a vicenda, soprattutto nei lavori che richiedevano l’intervento di numerose persone, quali erano per l’appunto trasportare tronchi a forza di braccia e segarli.
Vi erano anche uomini che facevano il lavoro a pagamento, ma questi venivano richiesti dai falegnami o da coloro che avevano bisogno di tale manodopera per lungo tempo, come ad esempio chi intendeva preparare le assi per la costruzione di una casa nuova.
Lu réisièire disponeva di questi attrezzi: l’api da réisièire (l’ascia del segatore); la lignòla (la cordicella); la rési (la sega); la lima; l’antravùr (la licciaiola). L’ascia ha il taglio molto largo e serve per scarè li biùń (squadrare i tronchi). La lignóla è di lana per essere facilmente imbevuta di acqua colorata in rosso e termina con un piombo di forma sferica. La lama della sega molto larga e lunga, è montata al centro di un telaio di legno a forma rettangolare ed ha i denti molto ricurvi, per tagliare solo quando si tira verso il basso e per non trovare resistenza quando si spinge in alto.
Il telaio è sormontato dalla mantë (manico) a doppia impugnatura, mentre sotto ha quattro ciaviè (cavicchi). La lima serve per limare i denti e renderli taglienti e l’antravùr per torcere i denti, operazione che permette alla sega di farsi strada nel legno. Pochi erano quelli che sapevano mulè (limare) e antravé alla perfezione ed erano ricercatissimi, perché con una sega ben funzionante si faceva meno fatica a lavorare.
Per segare i tronchi bisognava preparare una èirà (piccolo spiazzo pianeggiante) dove veniva sistemato lu cavalët (il cavalletto), un trave orizzontale con biforcazione poggiante sulla riva e l’altra estremità allungantesi verso l’interno dello spiazzo e sorretta da un robusto puntello al centro e due piccoli ai lati per tenerlo fermo. Il tronco, dopo essere stato squadrato con l’ascia, si stendeva sul cavalletto, si piombava in testa e al centro da dove si iniziava a misurare lo spessore delle assi, facendo ogni volta col coltello in’ossci (una tacca).
Poi si bagnava la lignòla nel colore rosso, si teneva ben tesa nel senso della lunghezza del tronco tra un’ossci e l’altra e si faceva battere per segnare la linea del taglio. Questa operazione richiedeva molta precisione, dovendo essere la piombatura e le misurazioni perfette.
Lu bìùń (il tronco) steso sul cavalletto, sporgente per metà oltre la testa del medesimo, con la metà posteriore ben fissata con corde e le linee di taglio verticali perfettamente a piombo, era pronto per essere segato. Un uomo si sistemava in piedi sopra il tronco, reggeva e guidava la sega dall’alto tenendola impugnata per la mantë, mentre altri due uomini la manovravano dal basso, impugnando le ciaviè. Si doveva avere la massima cura nel tenere la lama perfettamente a piombo per seguire le linee del taglio.
Effettuati tutti i tagli fino alla metà del tronco, questo veniva girato, fissato al cavalletto con le stesse operazioni di prima e quindi segato nell’altra metà. Quando si segavano i tronchi di larice bisognava versare nel taglio dell’acqua per impedire alla resina di impastarsi con la segatura e ostacolare o arrestare lo scorrimento della lama.
Il lavoro du réisièire era molto faticoso e richiedeva una certa abilità, non solo nel saper preparare i tronchi, ma anche nel saper tirare e spingere la sega con colpi ben calcolati e in perfetta armonia tra i tre réisièire.
Questo disegno, tratto dal libro “C’era una volta a Viù”, pag. 104, propone lo schema di azione dei segantini, privilegiando la sistemazione del tronco da segare.
Continua al leggere sul sito "Scuola Guido", che propone anche un interessante confronto tra la descrizione di questa lavorazione nella tradizione di Coazze con quella, molto simile, delle valli di Viù:
“Réisièire o ressiajri”, a Coazze come a Viù, assi nel segare le assi